Questo racconto è stato scritto per partecipare a The Neverending Contest n°129 S4-P6-I3 di @storychain sulla base delle indicazioni di @clifth
Tema: Draghi e cavalieri Ambientazione: Medioevo
L’uccisore di draghi
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Un menestrello attirava a sé proclamando a gran voce le sue storie nella piazza del piccolo centro dove per alcuni giorni si sarebbe fermato. Con maestria pizzicava le tre corde della sua ribeca, accompagnando con musica suadente la voce che narrava le gesta di Messer Giorgio da ***, le sue battaglie contro il feroce Saladino, la gratitudine dei più nobili reali durante l’ultima crociata, la rettitudine nel difendere i buoni cristiani contro gli infedeli grazie alla sua spada consacrata da Dio che splendeva nella luce della fede e si batteva in nome del Signore.
Il bardo indugiava a lungo sulla bellezza indomita del cavaliere, strappando i sospiri di dame e contadine; poi descriveva con dovizia di dettagli ogni duello, usando a volte il suo strumento musicale come spada, per simulare un affondo nel più cruciale momento di tensione degli uomini presenti. Narrava infine della sua nobile bontà d’animo che sempre lo vedevano schierato per i deboli, conquistando così i cuori dei bambini e dei più scettici.
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Il menestrello fece allora una pausa a effetto, creando la suspence necessaria a terminare il suo racconto. La sera giungeva appena e qualche fiaccola illuminava i volti degli abitanti del villaggio, radunati attorno al bardo ad ascoltare le sue storie.
Quell’ultima affermazione fatta nella suggestione del crepuscolo aveva messo in moto la fantasia della povera gente e quasi si percepivano i loro peggiori incubi materializzarsi e aleggiare sulle loro teste. Il cantastorie sapeva che quell’attimo, appena prima che i volti si contraessero in smorfie di terrore, era quello perfetto per moltiplicare i suoi guadagni e rimediare un pasto caldo e un buon pagliericcio con un finale pieno di speranza e buoni sentimenti. Riprendeva quindi a narrare: *<>*
Di solito, al termine delle sue storie avvincenti, un qualche servo del signorotto del luogo avvicinava sempre il bardo, invitandolo nella casa del padrone, dove in cambio di storie in esclusiva per la sua famiglia otteneva ospitalità, riposo e ristoro per i giorni di permanenza nel villaggio.
Qualche tempo dopo il passaggio del cantastorie, i semplici paesani notarono la mancanza di bestiame, ora di una pecora, ora di una gallina, ma non l’attribuirono più ai lupi, alle volpi o a un vicino invidioso: superstiziosi, suggestionati e ormai terrorizzati che un drago potesse nascondersi fra le loro montagne, iniziarono a pregare per l’arrivo del Nobile Giorgio. Colonne di fumo in lontananza e la sparizione di una della loro ragazze, che una sera si era attardata da sola a cogliere mele in un frutteto ai confini dei campi del paese, non fecero altro che confermare quei sospetti e creare sgomento fra le genti, facendole riversare in massa nelle chiese per accendere ceri e innalzare cori a Dio e San Giorgio perché li liberassero da quella piaga benedicendoli col passaggio del nobile Giorgio.
Pochi giorni dopo, dunque, sul far della sera, un cavaliere comparve all’orizzonte, eretto sul maestoso destriero e scintillante nella stupenda e lucente armatura.
***“E’ Messer Giorgio! Dio ha udito le nostre preghiere!”*** gridavano tutti quanti andandogli incontro. Il nobile Giorgio venne accolto come un salvatore e portato dal signorotto del villaggio, che lo ospitò fra mille onori, gli offrì quanto di meglio potesse offrirgli e pregandolo in ginocchio, prostrato a terra dopo avergli raccontato delle sparizioni e dei loro timori, gli chiese di liberarli da quella bestia di Satana. Aiutandolo a rialzarsi, il nobile Cavaliere con la destra sul cuore giurava che avrebbe tenuto fede alla sua missione e li avrebbe liberati dal flagello. Si rifocillò quindi per alcuni giorni, durante i quali gli venne offerto quanto di più prezioso il villaggio avesse: le carni più tenere, le conserve migliori, i vini più pregiati e le stoffe più preziose, con cui confezionargli una veste da indossare sotto l’armatura. Le fanciulle più audaci si intrufolavano di notte nelle sue stanze, ma né le madri ne soffrivano né il nobile Cavaliere se ne approfittava più di quanto esse stesse non volessero, lasciando in ciascuna il ricordo più sacro di sé e della propria nobiltà.
Partito per sconfiggere la bestia, si inoltrò fra le montagne alla ricerca del drago nella direzione dalla quale gli abitanti avevano visto sollevarsi colonne di fumo.
I paesani restarono giorno e notte a osservare in quella direzione, finché non scorsero le tracce di un grande fuoco in lontananza, o almeno tale sembrava, poiché durò per molti giorni e si estinse poco prima del ritorno del nobile Giorgio.
Stanco e barcollante, con l’armatura annerita e la bocca riarsa, il nobile Giorgio era tornato a piedi, appoggiandosi a un bastone ma senza un graffio: il feroce drago aveva ucciso il suo cavallo e mangiato la fanciulla rapita, che non avrebbe mai più fatto ritorno; però l’empia bestia del male era morta, trafitta dalla santa spada di Giorgio e poi bruciata fra le sue stesse fiamme immonde.
Come un vero eroe, il nobile cavaliere veniva portato in trionfo, lavato, rifocillato, l’armatura lustrata e un nuovo, nobile stallone gli veniva donato in segno di riconoscimento, fin quando, di nuovo trionfante, Giorgio saliva sul nuovo destriero e si allontanava dal villaggio nella sua armatura scintillante alla ricerca di un nuovo drago.

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Era trascorso un po’ di tempo quando Riccardo il cantastorie fasullo aveva fatto ritorno al villaggio “salvato” da suo fratello Abelardo, in arte "il nobile Cavalier Giorgio". La gente lo aveva accolto festante e gli aveva raccontato che quel Santo cavaliere era più santo del santo da cui prendeva il nome e li aveva salvati da un grave pericolo, apparendo al momento giusto e riportando la pace e la sicurezza. Il bardo promise loro di inserire il nome del villaggio e quella storia nel suo repertorio, immortalandoli per sempre nell’olimpo dei poeti.
Per essere stato il primo ad aver parlato loro di Messer Giorgio, gli erano talmente grati che lo ricoprirono di attenzioni e doni, anche se nessuna fanciulla andò a fargli visita di notte, come sempre, ahimè, gli accadeva: in fondo lui di quella pagliacciata non era che l’aedo.
Ebbe modo di osservare, passeggiando nel villaggio durante la sua permanenza, qualche bel pancione fra le ragazze più giovani e belle, che venivano ammirate e invidiate come se recassero in grembo il figlio di un nuovo santo e non di un cialtrone.
Quei sempliciotti non potevano certo immaginare che lui e suo fratello Abelardo, nati poverissimi, avevano rubato l’armatura ad un soldato morto nel sonno vicino a un fiume, quindi per sopravvivere avevano messo su tutto quello spettacolino, perfezionato col tempo, in cui prima il cantastorie instillava l’idea coi suoi racconti, poi qualche animale e una fanciulla venivano rapiti ed infine il *"nobile cavaliere"* giungeva come salvatore a liberare il popolo dal *"drago"*. Avevano imparato a produrre fuochi controllati nei punti più opportuni, sfruttando il vento ed il terreno, così da far credere che "Giorgio" lottasse con un drago.
Infine ritornavano a riscuotere gli onori: i villaggi più ricchi donavano loro oro e animali, cibo e liquori, coi quali tiravano avanti per un po’ o scendevano in città a sperperarli nelle bettole e nelle case di piacere. Dovevano solo stare attenti a non strafare e spostarsi spesso: le voci si diffondono svelte e le malelingue avrebbero potuto sospettare un qualche trucco. Ma finché non sarebbero stati avidi, quell'inganno avrebbe funzionato ancora per un po’.